Piazza Armerina

Piazza Armerina

Title: Cattedrale di Maria Santissima delle Vittorie

Cattedrale di Maria Santissima delle Vittorie

Descrizione

La cattedrale di Piazza Armerina è dedicata a Maria Santissima delle Vittorie. Nel febbraio del 1962 papa Giovanni XXIII la elevò alla dignità di basilica minore.

La cattedrale attuale fu iniziata nel 1604, continuata dall'architetto Orazio Torriani, completata nel 1719. Elemento dominante, la cupola, che, con i suoi 76.5 m di altezza e i 13.88 metri di diametro, è la più alta della Sicilia.

Il campanile, alto 40 metri, in stile tardo gotico catalano, risale al XV secolo ed è quello di una precedente chiesa, al posto della quale venne eretta l'attuale cattedrale.

Il portale, del XVIII secolo, presenta elementi di stile barocco siciliano.

L'interno della cattedrale è dominato dall'alta cupola centrale. Dall'arco trionfale pende una grande croce dipinta su entrambi i lati, recante la raffigurazione della crocifissione e la resurrezione di Cristo, opera del 1485 convenzionalmente riferita al «Maestro della croce di Piazza Armerina», e un battistero realizzato da Antonuzzo Gagini nel 1594.

L'altare maggiore in lapislazzuli, pietre dure e marmi siciliani, col pavimento e la balaustra dell'abside, sono realizzati dal maestro palermitano Filippo Pinistri su disegno dell'architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia. La sopraelevazione comprende la custodia in argento sbalzato del 1625, che contiene l'immagine di Maria Santissima delle Vittorie, patrona della città e della diocesi, cesellata dall'argentiere caltagironese Giuseppe Capra nel 1627, la manta in oro, argento e smalti per proteggerla, ideata e realizzata dall'orafo palermitano don Camillo Barbavara. 

Lungo le pareti laterali del presbiterio è disposto il coro dei canonici, intagliato nel 1795 dai maestri locali Domenico Parlagreco, Luigi Montalto e Liborio Parlagreco su disegno fornito dagli architetti Francesco e Pietro Laganà da Modica. Sulla sinistra, posizionato su una pedana aggettante, è collocato il seggio vescovile. Abbelliscono le pareti sul lato destro al di sopra del coro le tele raffiguranti l'Epifania o Adorazione dei Magi proveniente dalla chiesa di Sant'Agata, e San Benedetto e il servo di Re Totila di Giuseppe Salerno, sul lato sinistro lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di Giuseppe Salerno e il Martirio dei Santi Quaranta. 

Riferimenti storici

Durante la campagna di riconquista e ricristianizzazione dell'isola, il Gran Conte Ruggero ricevette da Papa Niccolò II il vessillo decorato con l'immagine della Vergine Maria.

Dopo il buon esito dell'impresa locale, la restaurazione della Contea di Sicilia affidata agli Altavilla, fu richiesta e imposta dai cittadini a titolo onorifico la gelosa custodia del sacro vessillo..

Dopo la rivolta dei Baroni, con le sanguinose repressioni da parte del sovrano nei confronti di chi aveva trovato temporaneo rifugio altrove, prevedendo le bizzarre azioni del re che minacciava di mettere a ferro e fuoco l'abitato e il conseguente trasferimento della reliquia a Palermo, nel 1161 i notabili la rinchiusero segretamente in una cassa di legno e la seppellirono all'interno dell'eremo di Santa Maria in contrada Piazza Vecchia.

La costruzione in stile gotico - catalano sotto il titolo di «Santa Maria Maggiore», è un edificio arricchito tra il '400 e il '500 da una poderosa torre campanaria e da un arco marmoreo gaginesco nel battistero, espressione del rinascimento siciliano.

Nel 1516 Panfilia Spinelli, vedova di Giovanni Andrea Calascibetta - Landolina, senza eredi, baronessa dei feudi Scalisa e Malocristianello, dona questi feudi e 60.000 scudi alla chiesa madre per restaurarla e ingrandirla.

Il tempio fu seriamente danneggiato da un terremoto nel 1542. Il barone Marco Trigona nel 1598, tra le sue volontà testamentarie dispose che la maggiore chiesa di Piazza, sua erede universale, con le rendite appositamente destinate, dovesse essere ampliata e allargata nella fabbrica. In sequenza, alcuni blocchi della struttura furono demoliti e riedificati: nel 1627 l'abside, nel 1705 il corpo della navata.

Nel 1626 - 1627 fu chiamato a guidare l'arcidiocesi di Catania, il romano Innocenzo Massimo, che volle mettere fine alla querelle interminabile circa la ricostruzione del nuovo duomo di Piazza Armerina, opera che si protraeva da quasi trent'anni, e che aveva già visto fallire almeno tre validi progetti. La proposta vescovile fu accettata dall’architetto Orazio Torriani, che poté innalzare il nuovo e imponente edificio sulle rovine dell'antica chiesa madre, inglobandovi quanto restava del precedente campanile e dell'arco gaginesco, coadiuvato dai maestri Maria Capelletti milanese e Domenico Costa messinese. L'opera ebbe inizio il 24 ottobre 1627.

Per il rifacimento fu favorito l'utilizzo del laterizio alternativo alla pietra, sia come materiale da costruzione, sia come elemento decorativo. Le tremende scosse del terremoto dell'11 gennaio 1693  lasciarono miracolosamente illesa la città, che celebra ogni anno l'anniversario dell'evento. A ricordo imperituro fu edificata una chiesa con titolo appellativo del tremuoto. Dopo un'ulteriore interruzione di circa quarant'anni a cavallo fra il 1666 e il 1705, il duomo fu completato nelle strutture e inaugurato solo nel 1742, periodo dopo il quale si avvicendarono nuove maestranze.

Note bibliografiche

Di Marzo, G., I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI; memorie storiche e documenti, Conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana Lazelada di Bereguardo, Volume I e II, Palermo, Stamperia del Giornale di Sicilia.

Title: Vi racconto Piazza Armerina

Vi racconto Piazza Armerina

Quello che vi stiamo per raccontare non sono altro che i ricordi di due adolescenti che vivevano la loro infanzia nella semplicità dei gesti e di condivisione urbana. 

Ci troviamo negli anni ’60, anni del boom economico. Gli anni di un radicale cambiamento in tutti i settori. Sono stati anni mitici: tutto era splendido, la vita stessa era bella da vivere in quegli anni. La spensieratezza dominava. L'Italia cominciava a entrare nel pieno della crescita economica. Sono sempre di più gli italiani che scendono nelle piazze per manifestare i loro ideali politici ed esprimere il proprio dissenso. 

Ora in questo viaggio negli splendidi anni ‘60, immaginate una bella ragazza che indossa una bella gonna ampia o qualche coraggiosa una minigonna, che con le amiche si dirige verso la sala da ballo più vicina. Molti ragazzi passavano così la loro giovinezza.

Poi c’erano Giuseppe e Antonino, che sin da piccoli dovettero aiutare le famiglie. 

Noi scout del Piazza Armerina 1 siamo andati in giro e abbiamo incontrato questi due uomini che con molta gentilezza hanno risposto alle nostre domande. 

Con molta curiosità gli abbiamo domandato cosa fosse cambiato nel nostro piccolo paesino e ci hanno risposto che prima Piazza Armerina era una città, aveva molti uffici che ora si trovano in provincia - come ad esempio la vice Prefettura - erano presenti alcuni indirizzi di Università, gli abitanti erano di più. Poi con un'aria dispiaciuta ci hanno che per colpa dell'immigrazione gli abitanti sono diminuiti e così molti uffici sono stati trasferiti a Enna, la ferrovia è stata chiusa e mai più riaperta.

Gli abbiamo quindi chiesto di raccontarci una storia della loro infanzia e così il Signor Giuseppe ci ha raccontato di quando da piccolo, per aiutare la famiglia, andava a raccogliere le noccioline. Piazza Armerina era un territorio ricchissimo. Si scendeva in Piazza Garibaldi con un cesto e da lì si partiva verso le campagne. Quando gli abbiamo domandato quale mezzo utilizzasse per fare questo lavoro, lui con aria scherzosa ci ha risposto: “con la pedovia”. Si rimaneva lì in campagna tutta la settimana, si dormiva sulla paglia nei casolari di pietra, si lavorava dalla mattina alla sera. Il sabato sera si tornava a casa e il lunedì si ripeteva tutto da capo. Al termine della raccolta, il padrone vendeva il raccolto, così come faceva con le mandorle e olive. 

Siamo rimaste colpite dall’impegno, dalla dedizione e sacrificio di questi uomini - un tempo ragazzi come noi - perché, nonostante fosse un lavoro faticoso e duro, non si sono mai tirati indietro, al fine di contribuire non solo al proprio sostentamento, ma anche a quello della loro famiglia.

Gli intervistati

Gli intervistati

Title: Intervista al signor Prestifilippo

Intervista al signor Prestifilippo

Intervista al signor Prestifilippo, conoscitore della storia di Piazza Armerina

Che ruolo aveva Piazza Armerina nel passato? 

Piazza Armerina fino al 1960 è stato un paese strettamente agricolo che si basava sulla pastorizia e sull’agricoltura e il “canalicchio”, al Casalotto, ne è un esempio, poiché fungeva da abbeveratoio per tutti i cavalli di passaggio; camminando per la città, si notano molte caratteristiche che rispecchiano la vita contadina di quel tempo, anche nel quartiere monte dove sono presenti antichi palazzi con porte larghe (per far passare i cavalli) dove risiedevano i baroni del paese, nonché ricchi proprietari terrieri. Questo portava i cittadini a lavorare per questi nobili rendendo la “routine quotidiana” di ogni piazzese principalmente dedicata al lavoro agricolo. Fino al 1960 la maggior parte della popolazione piazzese era dedita all’agricoltura e pochi erano quelli che proseguivano gli studi, anche se Pazza Armerina era sede di tutte le scuola, dalle elementari fino alle superiori, e tanti studenti del resto della Sicilia venivano a studiare proprio a Piazza Armerina.

Qual è la storia dei quattro quartieri di Piazza Armerina ? 

I due quartieri più antichi di Piazza Armerina sono il quartiere Monte e Castellina; questa cosa si può notare anche dalla loro disposizione geografica, perché situati molto vicino tra loro ed entrambi circondati dalle stesse mura, che avrebbero dovuto proteggerli da tutte le invasioni delle popolazioni che arrivavano in Sicilia (Bizantini, Normanni, ecc.). 

Il quartiere Monte è il quartiere storico del paese e spesso nucleo politico e amministrativo dei vari comuni. È sempre stato ritenuto il quartiere madre del paese anche per la sua posizione nel punto più alto della città: monte Mira. Nel quartiere si trovano numerosi palazzi antichi appartenuti alle famiglie nobili della città, tra cui la famiglia Trigona. Proprio Marco Trigona nel XII secolo finanziò la costruzione della cattedrale accanto alla quale fece costruire il proprio palazzo. 

Il quartiere Castellina è chiamato in questo modo perché sorgeva sotto un antico castello, nel tempo sostituito dal convento di San Francesco; caratteristica principale del quartiere è il celebre “prtusu da castdina”, cioè una breccia creata dopo le invasioni per mettere in comunicazione i quartieri Monte e Castellina con i quartieri Canali e Casalotto. 

Il quartiere Casalotto, come tutto il paese prima dell’arrivo di Guglielmo il Malo, era un quartiere che apparteneva al comune di Mazzarino e che, a causa della lontananza dai quartieri Monte e Castellina. Dopo la ricostruzione del paese, è diventato un quartiere simbolo per la porta di San Giovanni, che si trovava in prossimità dell’inizio del quartiere. 

Il quartiere Canali invece inizialmente era un quartiere in cui si accampavano gli eserciti invasori; in seguito divenne feudo della famiglia Canali che mise a disposizione di tutti i cittadini la sorgente d’acqua presente ancora nel quartiere. Gli abitanti del feudo in segno di riconoscimento fecero scolpire quattro facce sulla parete della sorgente; ci sono varie opinioni su chi rappresentino le quattro facce: alcuni pensano che raffigurino Garibaldi, Camillo Benso Conte di Cavour, Vittorio Emanuele e Giuseppe Mazzini; altri invece, me compreso, pensano che raffigurino i 3 fratelli e la sorella della famiglia canali proprio come ringraziamento per aver donato questa sorgente al paese. Nel quartiere Canali inoltre è presente la chiesa di Santa Lucia che in antichità era una sinagoga degli ebrei, ma che con l’avvento del cristianesimo fu adattata a chiesa cattolica.

Come è nata Piazza Armerina ? 

Prima ho accennato a Guglielmo il Malo; questi era sovrano del feudo di Piazza Armerina che, dopo essersi liberata dal feudo di Enna, si vede attaccata dallo stesso, il quale, pieno di debiti a causa della scarsa produzione, agricola decide di distruggere la città causando una grande emigrazione nelle campagne; la città rimase distrutta e spopolata fino agli anni 1000-1050, quando Guglielmo il Buono, fratello di Guglielmo il Malo, decide di ricostruire il comune avendo come punto di riferimento il monte Mira, sul quale fece sorgere una chiesa sui cui resti fu costruita la cattedrale, che durante la “rinascita” del paese ha avuto un ruolo fondamentale quale punto di riferimento per tutti i cittadini; fu costruita nel XVII secolo sulla base di una torre araba diventando una chiesa in stile arabo-normanno. Durante la ricostruzione del paese Guglielmo crea anche un piccolo esercito con base a Piazza vecchia per proteggere il paese dalle continue affluenze straniere.

Quali sono state le famiglie più importanti nella storia della nostra città? 

Come ti ho già detto, in tutta la sua storia Piazza Armerina è stata sempre invasa da varie popolazioni; alcune di queste non hanno lasciato tutto come era, ma hanno provato a creare vere e proprie città autonome. 

Tra queste le famiglie più importanti e ricordate sono: la famiglia Trigona, che si è stanziata nel quartiere Monte nel palazzo Trigona (attuale sede del polo museale della villa romana del casale), la famiglia Cammarata, la famiglia Monastra e la famiglia Salemi. 

Tutte famiglie di ricchi proprietari terrieri che, con l’avvento della rivoluzione industriale hanno perso la loro importanza.

Cosa pensa del Palio dei Normanni di oggi rispetto a quello del passato? 

Negli ultimi anni il Palio dei Normanni è molto cambiato: quella che ormai è una celebrazione annuale, in effetti un tempo si festeggiava ogni 5 anni; inoltre, i giochi che venivano affrontati erano sicuramente meno avvincenti di quelli di oggi, motivo per il quale preferisco nettamente quello di questi tempi, per motivi economici e anche perché, secondo me, ultimamente i cittadini vi prestano molta più attenzione, conferendo un valore tutto nuovo a questa festa.

Qual è la storia del vessillo di Maria Santissima delle vittorie? 

Il vessillo di Maria Santissima delle vittorie, cosi chiamato perché rappresentò il segno della vittoria in seguito a tutte le battaglie vinte dal Conte Ruggero, fu donato dal conte alla città diventando un simbolo di culto per i pluziesi che lo custodivano. Durante il regno di Guglielmo il Malo, il vessillo fu sotterrato dentro una cassetta per sottrarlo alla furia distruttrice dei soldati. Secondo una leggenda, il 3 Maggio 1358 la Madonna apparve in sogno a un sacerdote indicandogli il luogo dov’era sepolta. L’effige ritrovata fu portata in giro per la città ponendo fine alla pestilenza che la affliggeva. A Piazza Vecchia, nel luogo dove fu ritrovato, fu costruito un santuario, sede della festa popolare del 3 Maggio.

Foto con intervistato e intervistatori

Foto con intervistato e intervistatori

Title: Un tuffo nel passato

Un tuffo nel passato

Un confronto tra generazioni mette immediatamente in luce come la tecnologia ha cambiato il nostro quotidiano e il modo di rapportarci con le altre persone. Per capire al meglio le grandi differenze e i grandi passi avanti che abbiamo fatto in questi anni, abbiamo intervistato una persona che ricorda molto bene la sua infanzia e la sua adolescenza nella nostra piccola città di Piazza Armerina.

Vincenzo La Malfa ci ha fatto capire che i nostri nonni, ma anche i nostri genitori, non hanno vissuto come noi, e che la nostra città era molto diversa. L'attuale Villa Garibaldi, per esempio, era molto più bella, poiché curata da un giardiniere, che la rendeva un luogo ideale per incontrarsi con gli amici o andare a giocare. Del resto, se pensiamo proprio al giocare oggi, la prime cose che ci vengono in mente sono un cellulare, un tablet, un computer; all'epoca, non esisteva niente di tutto ciò e ci si arrangiava e si giocava con qualsiasi cosa si trovasse: a pallone, ovviamente, ma anche alla cavallina, a carte, a morra cinese …tutti giochi ormai superati dalla tecnologia. Anche il rapporto genitori-figli era diverso, sicuramente improntato a un maggior rispetto dei secondi nei confronti dei primi.

Ai tempi, si andava in Chiesa: durante le messe si soleva fare i chirichetti, ma in parrocchia si andava anche per giocare al biliardino o a calcio (come dimenticare il torneo di calcio organizzato ogni anno tra le diverse parrocchie?!). C'erano anche le feste scolastiche, ma molto diverse da quelle attuali: non si andava a ballare nelle discoteche, ma all'hotel Selene, o al Jolly Hotel, o al cinema Plutia, vestendosi sempre in modo molto elegante. Per non parlare della musica dal vivo…

Insomma, grazie al Signor La Malfa, abbiamo capito che ci sono stati grandi cambiamenti, non sempre per forza positivi; abbiamo avuto modo di riflettere e di capire che forse, in alcuni frangenti, dovremmo sforzarci di cambiare, provando anche a comprendere per quale motivo i nostri genitori, che spesso non avevano praticamente nulla, ci vietano di fare alcune cose.

Un momento dell'intervista

Un momento dell'intervista

Title: Chiesa di San Rocco

Chiesa di San Rocco

Descrizione

La facciata si presenta a capanna, con un campanile, di poco più alto della chiesa, innalzato sul lato destro. È inquadrata da due massicci cantonali in pietra arenaria e rivestita di laterizi. Anche il campanile, sino alla cornice del cantonale, ne riprende lo stile presentando, nei due lati visibili dalla facciata, anch'esso pietra arenaria e laterizi, ripartiti in quattro piani con strette e piccole feritoie ad illuminarne l’interno; gli altri due lati sono realizzati in pietrame informe. L’ultimo ordine del campanile è, invece, interamente in mattoni e presenta paraste che inquadrano archi a tutto sesto. 

La facciata della chiesa è arricchita da un sontuoso ed elaborato portale in pietra arenaria, la cui struttura è unitaria con quella della finestra soprastante. Il portale presenta due paraste (a erma) per lato, con capitelli dorici e rilievi piumati. Il tutto è sormontato da un architrave riccamente scolpito e una cornice aggettante. Al di sopra della cornice, fra volute e fiamme, trova posto una meridiana scolpita anch'essa nella pietra arenaria. La finestra presenta decorazione a ovuli e fregi laterali ed è sormontata da un cornicione aggettante. Da menzionare la porta lignea intagliata con delle caratteristiche formelle fiorite, disegno che si ripresenta a metà nella scalinata.

L’interno è a navata unica, ripartita in quattro campate di differente dimensione da paraste con capitelli dorici

Il cornicione della cantoria è riccamente rivestito di stucchi. Altri stucchi e affreschi decoravano interamente la chiesa: degli affreschi restano solo poche tracce dalle quali si intuisce che complessivamente dovevano produrre un effetto ottico illusorio teso a deformare le linee dell’edificio.

Gli altari minori sono in marmo e legno e conservano alcune opere d'arte. Da menzionare, in particolare, la statua di San Rocco, una tela raffigurante la Madonna con ostensorio e santi datata all'inizio del XVII secolo e un'altra tela con la Comunione di Padri Benedettini del secondo quarto del XVII secolo.

Particolarmente interessante è la decorazione ad affresco illusorio della parete di fondo del presbiterio. Secondo modalità tipicamente barocche, la pittura sfonda le linee architettoniche, dando l'illusione che il presbiterio sia absidato e che tale abside abbia copertura a catino.

Il pavimento della chiesa è ancora quello originale in ceramica policroma. Il rivestimento smaltato è quasi interamente scomparso, ma in molti angoli è ancora leggibile l'originaria decorazione. Al centro della navata, in prossimità del presbiterio, una lastra in pietra copre l'ingresso alla cripta ove venivano posti i corpi dei benedettini.

Riferimenti storici

La chiesa di San Rocco o Fundrò (o anche detta Condrò) e l'attiguo monastero appartennero ai Benedettini dal 1622. I monaci originariamente occupavano un monastero con annessa chiesa in contrada Fundrò (da qui il nome con cui la chiesa viene comunemente denominata), al confine fra i territori di Piazza e di Enna.

Il feudo e l'abbazia erano proprietà della famiglia degli Uberti e quando Giovanni degli Uberti si ribellò a re Martino, al tempo dei Quattro Vicari, la signoria venne concessa, il 6 dicembre del 1393, a Nicolò Branciforte. Nel 1396, in seguito alla lotta fra le fazioni catalana e latina, i borghi di Fundrò, Rossomanno, Polino e Gatta furono distrutti e gli abitanti obbligati a trasferirsi a Piazza e Castrogiovanni. I degli Uberti riuscirono a riacquisire la signoria sul feudo di Fundrò solo il 30 marzo 1397 grazie a Scaloro. La chiesa venne riedificata con le elargizioni dei cittadini di Piazza, ma già nel 1418 le condizioni statiche della fabbrica erano precarie. Il nuovo priore, Guglielmo Crescimanno, piazzese, la fece riedificare e fra le rovine dell’edificio precedente fu rinvenuta una statua della Madonna. Nel frattempo, la città di Enna aveva occupato il feudo impedendo ai legittimi proprietari di rientrarne in possesso.

Nel 1421 Alfonso il Magnanimo ordinò che il feudo di Fundrò fosse restituito alla città di Piazza. La città di Enna temporeggiò e nell’anno 1445 vendette diversi feudi, fra cui Fundrò, ad alcuni nobili, riservandosi il diritto di riscatto. La città di Piazza fece appello al viceré, che nel 1453 diede l'investitura di metà Fundrò (ovvero dei feudi venduti) ad Enna e restituì i feudi rimanenti, la parte più cospicua, a Piazza. Nel frattempo la città di Piazza riparava la chiesa di Santa Maria in Fundrò e costruiva il monastero dei Benedettini. Nel 1560 un devastante incendio rese inagibile il complesso e i monaci si rifugiarono a Piazza dove, riuscirono a reperire i fondi per ricostruirlo.

Il feudo di Fundrò, ormai senza abitanti ad esclusione dei monaci, divenne una sede scomoda per i religiosi che si accordarono con i giurati di Enna, che gli avevano promesso la chiesa di Santa Sofia e dei locali annessi. L’abate fra' Germano da Capua ottenne dal vescovo di Catania, nel 1612, il permesso al trasferimento. I cittadini di Piazza vissero l’accaduto come un mancato riconoscimento della loro devozione e delle donazioni fatte a quel monastero e fecero appello al Tribunale di Monarchia, tanto che l’abate rinunciò al trasferimento. Per risolvere la situazione intervenne l’abate Angelo da Fondi che ottenne il trasferimento nella città di Piazza dei monaci, con decreto emesso a Parma il 1º dicembre 1621. Vennero concessi ai monaci la chiesa di San Rocco, del 1613, mentre una nobile, Virginia Tirdera, donò l'abitazione adiacente alla chiesa. Con un contratto che reca la data del 15 aprile 1622, alcuni nobili si obbligarono a edificare una chiesa degna dell’ordine e a rendere l’abitazione un adeguato monastero.

Nel 1866, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, i monaci vennero espulsi e i locali dell’abbazia divennero sede del Comune di Piazza Armerina.

Note bibliografiche

Cagni, P. Piazza Armerina nei secoli, Piazza Armerina, 1969.

Title: Villa Romana del Casale

Villa Romana del Casale

Descrizione

La villa si sviluppa in 48 ambienti (circa 3500 metri quadri di superficie) ricoperti da mosaici in perfetto stato, forse eseguiti da maestri africani, che permettono di ripercorrere la storia del più grande fra gli Imperi, con le scene di vita quotidiana, le raffigurazioni di eroi e divinità, le scene di caccia e di giochi.

Ognuno dei quattro nuclei della villa è disposto secondo un proprio asse direzionale, tutti convergenti al centro della vasca del peristilio quadrangolare. Nonostante le apparenti asimmetrie planimetriche, la villa sarebbe il frutto di un progetto organico e unitario che, partendo dai modelli correnti nell'edilizia privata del tempo (villa a peristilio con aula absidata e sala tricora), vi introdusse una serie di variazioni in grado di conferire originalità e straordinaria monumentalità all'intero complesso.

Le rappresentazioni sono state orientate in modo che il lato frontale sia rivolto sempre verso l'ingresso di ogni stanza. La struttura della domus con le sue 48 stanze si articola attorno al peristilio quadrangolare (luogo circondato da colonne) cui si accede dal vestibolo (spazio dinanzi la porta esterna della villa) e la cui pavimentazione raffigura una cerimonia di sacrificio ai Lari, le divinità protettrici della famiglia.

Il pavimento del peristilio è interamente mosaicato con disegni di felini, leoni, antilopi, tori, cinghiali, cavalli selvatici, cervi e arieti all'interno di figure geometriche circolari inscritte in quadrati. Il tutto è decorato da corone di alloro.

Le pareti esterne del portico sono interamente ricoperte da decorazioni pittoriche mentre le pareti interne sono delimitate da colonne in granito.

Il giardino del peristilio presenta una grande fontana composta da tre vasche, rivestita in marmo all'esterno e in mosaico all'interno. Al centro della vasca più grande è stata rinvenuta una base ottagonale con una statuina marmorea.

Dal peristilio attraverso due scalinate si accede all'ambulacro meglio conosciuto come Corridoio della Grande Caccia, che contiene immagini relative a battute di caccia in Africa e in Asia che i romani erano soliti fare per approvvigionarsi di animali da esibire nei circhi.

Di grande ufficialità anche per le sue dimensioni (circa 65 metri di lunghezza), il corridoio presenta due absidi (nicchie) colonnate, rivestimento marmoreo parietale e un portico. All'estremità sono rappresentate sotto forma di figure femminili le due province estreme dell'impero romano: l'India a destra e la Mauritania a sinistra.

Nella parte sinistra del corridoio invece, le cinque province che formavano la diocesi dell'Africa: Bizacena, Mauretania, Numidia, Proconsolare e Tripolitania. Per ogni provincia è rappresentata una scena di caccia con un animale tipico del luogo, mentre gli animali catturati vengono trasportati al porto di Cartagine ed imbarcati. Al centro del corridoio è raffigurato lo sbarco degli animali al porto di Ostia.

A fianco del corridoio, preceduto da un portico di forma ellittica, è sistemato il triclinio (sala da pranzo) ovoidale mentre lungo i fianchi del peristilio, ci sono una serie di stanze private alcune delle quali riservate alla servitù.

Questa porzione della villa era destinata al padrone e alla sua famiglia ed è costituita, oltre che da stanze strettamente private, anche da una serie di ambienti di servizio. In questi ultimi predominano mosaici a motivi geometrici e le pareti sono tutte affrescate.

La sala più celebre raffigura dieci ragazze in bikini impegnate in uno spettacolo in onore della dea del mare Teti. Varie le competizioni ginniche: lancio del disco, gioco con palla, esercizi coi pesi in mano e corsa campestre. In basso a sinistra, l'incoronazione delle due vincitrici.

Attraverso il Corridoio della Grande Caccia si accede pure alla Basilica. L'ambiente è absidato decorato con granito rosa e il pavimento, di cui ci è pervenuto poco, è in marmo. Anticamente anche le pareti erano rivestite in marmo mentre al centro dell'abside si trova un'edicola e una grande nicchia che probabilmente ospitava la statua di Ercole, la cui testa è stata trovata presso il complesso termale.

La Basilica riveste un carattere di eccezionalità fra gli ambienti della villa sia per la decorazione del pavimento, per cui sono stati utilizzati marmi policromi provenienti dall'Africa, sia per la posizione all'interno della villa stessa. La sua destinazione dovette essere pubblica. A sinistra della Basilica è collocato un appartamento destinato molto probabilmente alla domina, signora della casa. Si tratta di una sala absidata  e di un cubicolo (stanza da letto) con alcova rettangolare e decorazioni musive raffiguranti maschere teatrali, le stagioni e il celebre medaglione centrale con gli amanti.

Sul lato destro della Basilica si trova un altro appartamento composto da un portico semicircolare, da un cortiletto coperto, da una sala absidata e da due vani con anticamera. Il cortiletto è pavimentato con un elegante lastricato in calcare locale con un'edicola rivestita in marmo che gli conferisce l'aspetto di un piccolo ninfeo.

A sinistra del portico si trova un cubicolo con alcova e relativa anticamera. I mosaici di questi ambienti raffigurano Eros e Pan e una caccia di animali domestici condotta da nove fanciulli che si divertono giocando. I pavimenti della stanza absidata e la relativa anticamera invece, rappresentano bambini che gareggiano guidando bighe di volatili, suonando e cantando vestiti da attori.

Dall'angolo sud-ovest del peristilio quadrangolare si accede alle terme della domus. All'interno delle terme si trovano: la Sala delle unzioni, piccolo ambiente quadrato i cui mosaici ritraggono schiavi intenti a ungere il corpo dei bagnanti; il Frigidarium a pianta ottagonale, destinato ai bagni in acqua fredda, la cui decorazione musiva ricorda l'ambiente marino con amorini pescatori attorniati da tritoni, ninfe e delfini; il Tepidarium con i suoi forni che servivano a scaldare l'acqua e a tenere caldi gli ambienti. Le pareti sono foderate da tubuli con fori laterali per una migliore diffusione del calore tra colonna e colonna. Dal Frigidarium si intravede la piscina ed il tratto termale dell'acquedotto.

C'è inoltre, la Sala del Circo di forma allungata e arrotondata adibita a palestra. Il mosaico della stanza riproduce un circo identificato con il circo Massimo a Roma. Passata l'edicola di Venere, luogo in cui un tempo si trovava la statua della Dea, si raggiunge il cortile poligonale.

La villa "a padiglioni" o "a nuclei" non è una tipologia isolata a Piazza Armerina, ma, oltre a essere documentata in un'altra villa siciliana presso Noto, ha precise corrispondenze in ville africane e deve il suo modello originario alla villa Adriana di Tivoli.

Dal 1997 la Villa fa parte dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

Riferimenti storici

La scoperta della Villa si deve a Gino Vinicio Gentili, che nel 1950 ne intraprese l'esplorazione in seguito alle segnalazioni degli abitanti del posto. Basandosi principalmente sullo stile dei mosaici, lo scopritore datò in un primo momento l'impianto della sontuosa abitazione – sorta su una più antica fattoria – non prima della metà del IV secolo; successivamente lo stesso studioso assegnò la villa all'età tetrarchica (285-305). Secondo Ranuccio Bianchi Bandinelli la villa va datata al primo venticinquennio del IV secolo. 

Gli esami sulle murature hanno datato la villa e i mosaici stessi a una successione di tempi che va all'incirca dal 320 al 370.

L'identificazione del proprietario è stata a lungo discussa e molte diverse ipotesi sono state formulate. Secondo una prima ipotesi, il proprietario della villa sarebbe stato il tetrarca Massimiano (285-305), ritiratosi qui dopo la sua abdicazione. Gli studi storici successivi hanno tuttavia dimostrato che Massimiano trascorse in Campania, e non in Sicilia, i suoi ultimi anni. Più di recente il proprietario della villa era stato identificato con Massenzio, figlio di Massimiano (305-312).

In realtà, nulla ci obbliga a vedere nella villa di Piazza Armerina una residenza imperiale. Negli ultimi anni, del resto, gli scavi hanno dimostrato che il possesso di dimore sontuose e con marcato carattere di rappresentanza era un fenomeno molto diffuso e nient'affatto eccezionale nell'alta aristocrazia romana.

L'ipotesi attualmente più accreditata identifica il proprietario con una prestigiosa figura dell'età costantinianaLucio Aradio Valerio Proculo Populonio, governatore della Sicilia tra il 327 e il 331 e console nel 340.

Note bibliografiche

AAVV, La villa romana del casale di Piazza Armerina, Genova, SAGEP, 2010

Bianchi Bandinelli, R. Torelli, M., L'arte dell'antichità classica, Etruria-Roma, Torino, UTET, 1976

Salvatore Settis, “Per l'interpretazione di Piazza Armerina. Antiquité 87”, in Mélanges de l'Ecole Française de Rome, vol. 2, 1975, pp. 873–994